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Per Aspera Ad Veritatem n.6
Cultura e intelligence: un progetto per l'Università

Pierre LACOSTE




Signore e Signori, Signor Direttore, è un grande onore per me stare oggi insieme a Voi e ringrazio sinceramente il Prefetto Marino, Direttore del SISDe, per avermi invitato a parlarVi del progetto che ho iniziato a realizzare nel mio Paese, per fare sì che l'intelligence abbia "libero accesso" all'Università.
Sono ulteriormente onorato poiché non sono un vero e proprio specialista dell'intelligence ed, oggi, sono un ufficiale in pensione. Ho, infatti, lasciato il Servizio attivo della Marina francese nel 1985, dopo aver passato tre anni a capo della DGSE; e nei precedenti quarant'anni, nei quali ho indossato la divisa di ufficiale di Marina, non ho mai avuto l'opportunità di esercitare funzioni specifiche nell'intelligence.
Quindi, quando il Presidente della Repubblica mi ha convocato nel 1982 per chiedermi di assumere quel delicato incarico, Vi confiderò che sono rimasto molto sorpreso e, prima di accettare, ho riflettuto a lungo.
Sono rimasto, dunque, solo tre anni alla DGSE. Inoltre, dal 1985, mi sono impegnato a non interessarmi più delle vicende che ormai spettavano ai miei successori, conformandomi all'usanza della Marina, di molti Servizi pubblici e di molte altre istituzioni. Nella Marina si dice "non si ritorna sulla nave che si è comandata", e questo per sottolineare che la gestione spetta al nuovo comandante in carica e che gli "ex" non devono occuparsi di cose che non li riguardano più; non bisogna interferire nelle attività, ed in particolare in quelle operative, di coloro che sono in carica.
Tuttavia, da quando sono in pensione, ho avuto l'occasione di continuare ad interessarmi di problemi strategici, di difesa, di relazioni internazionali e di sicurezza, soprattutto - come ha ricordato il Prefetto Mosca - in qualità di Presidente della "Fondazione per gli Studi della Difesa Nazionale", un organismo di collegamento tra ambienti militari e quelli della ricerca e dell'Università, in Francia ed all'estero.
Poi, ho accettato di tenere dei corsi alla nuova Università di Marne la Vallée, sita nella banlieue Est di Parigi, corsi su argomenti di geopolitica, strategia europea ed informazione e sicurezza.
Nel frattempo, ho pubblicato nel 1992 il libro - che Lei, Signor Prefetto, ha citato - il cui titolo "Le Mafie contro la democrazia" aveva lo scopo di richiamare l'attenzione dei miei compatrioti sull'esistenza di nuovi pericoli, che - a mio parere - hanno sostituito la minaccia di una guerra nucleare tra l'Est e l'Ovest dopo la fine della Guerra Fredda. Lo smembramento dell'Impero sovietico non ha aperto - come alcuni credevano - un'era di pace, perché la fine della Guerra Fredda ha comportato altri rischi, altre minacce spesso più insidiose e più difficili da individuare. L'apertura delle frontiere, la mondializzazione degli scambi, la globalizzazione degli interessi economici e politici favoriscono il commercio internazionale e lo sviluppo; ma, favoriscono, purtroppo, anche lo sviluppo di ogni forma di criminalità transnazionale.
Sono convinto che i metodi, i meccanismi, le ricette sperimentate ed il "savoir-faire", a volte ancestrale, che caratterizzano ciò che chiamo la "sindrome mafiosa", vanno a beneficio dei criminali. I militari sanno combattere un esercito nemico, la Polizia sa come trattare i criminali, ma la lotta contro le mafie è molto più difficile. E' una sfida per la democrazia, per le Forze dell'Ordine e per la Giustizia; è una sfida che, fino ad oggi, solo l'Italia è stata in grado di affrontare. Vorrei rendere omaggio a tutti coloro che, nel Vostro Paese, hanno dato prova di una notevole determinazione per combattere efficacemente questa forma estremamente complessa di criminalità, che paragono ad un vero e proprio "cancro sociale".
Sappiamo anche che il pericolo oltrepassa le frontiere dei nostri rispettivi Stati e che l'internazionalizzazione della sindrome mafiosa l'ha fatto diventare un fenomeno di ampiezza mondiale. I cartelli della droga dell'America Latina, le triadi cinesi, le bande e le mafie dell'ex Impero sovietico, gli Yakuza giapponesi hanno spesso assunto la forma di vere e proprie "Multinazionali del crimine".
I Servizi informativi interni, come il SISDe in Italia o come la DST in Francia, essendo sempre più coinvolti sul piano dei rapporti internazionali, devono collaborare strettamente con i loro omologhi stranieri. Purtroppo, le diverse legislazioni, procedure e "culture della sicurezza" non facilitano questa cooperazione. Tutti i dirigenti politici, tutte le opinioni pubbliche non hanno ancora capito che i fenomeni, che ho appena evocato, costituiscono vere e proprie minacce per la sicurezza mondiale.
Cercherò, quindi, di esporVi il mio progetto. Lo dividerò in tre parti: in primo luogo, la verifica della situazione così come l'ho riscontrata nel mio Paese; in secondo luogo, le difficoltà dell'impresa; infine, la finalità di questo seminario pluridisciplinare.
Per prima cosa, parlerò della verifica. Cosa si può rilevare? Ho riscontrato che nei nostri Paesi, ed in particolare in Europa, a parte la Gran Bretagna e forse per un certo verso la Germania, c'è una grande ignoranza riguardo ai problemi dell'intelligence. Appena si parla di problemi che riguardano i Servizi di Sicurezza od i Servizi Speciali, ci si scontra con pregiudizi, miti o fantasmi di un'opinione pubblica che ignora tutto dei limiti e delle realtà del mestiere. Purtroppo quest'ignoranza non riguarda soltanto l'opinione pubblica in generale, ma esiste nell'Amministrazione, nei più alti livelli della classe politica, dell'industria e dell'economia. In ognuno di questi settori, l'intelligence evoca per prima cosa immagini ingannevoli ed idee preconcette; ma nella stampa ed anche in molti ambienti scolastici ed universitari è ancor peggio.
Ho, quindi, notato che la Francia era l'unico tra i grandi Paesi a non interessarsi in maniera sistematica alla ricerca universitaria in materia di intelligence. Questa constatazione è particolarmente impressionante quando si considera ciò che avviene nel mondo anglosassone. Nella mia introduzione - come Lei, Signor Prefetto, ha ricordato - ho fatto riferimento a più di 120 università e centri universitari degli Stati Uniti ed in Canada. In Gran Bretagna, esistono una dozzina di centri e da sette anni partecipo a seminari e simposi, negli Stati Uniti, ad Harvard, a Washington, a Colorado Springs ed in California. Peraltro, tra alcuni giorni devo recarmi all'Università di Yale dove si affronteranno questi problemi.
In queste riunioni si incontrano ufficiali della CIA che mettono in evidenza il loro cartellino per far vedere che appartengono alla CIA; si incontrano ufficiali dell'FBI nonché universitari e giornalisti; non ci sono più tabù e si può parlare liberamente di questi problemi. Esistono molti seminari, numerose pubblicazioni, memorie, tesi scritte da studenti e libri pubblicati da professori.
Questa documentazione non è molto conosciuta nel mio Paese. Pochissimi di questi libri vengono tradotti in francese. Viceversa, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, i ricercatori, gli universitari dispongono di un'abbondante documentazione che permette loro di conoscere i lavori fatti dai loro colleghi storici, politologi od esperti in relazioni internazionali. Questa prassi, quindi, permette anche all'opinione pubblica ed ai dirigenti di disporre di molti e seri riferimenti. Così, ad esempio, nel Congresso degli Stati Uniti, i Senatori hanno tutti i mezzi per ottenere le informazioni indispensabili. A questo punto, però, voglio insistere sulla differenza che va fatta tra l'informazione che chiamo "operativa", ossia quella relativa ai casi in corso o alle vicende ancora riservate, e la conoscenza dei mezzi e dei metodi dei Servizi. Questa credo che sia una distinzione molto importante.
Nel 1973, avevo constatato un'analoga indifferenza negli ambienti universitari francesi nei confronti degli affari relativi alla difesa ed alla strategia. All'epoca c'era un certa ostilità verso tutto quello che, da vicino o da lontano, concerneva il settore militare; e proprio questa ostilità impediva di trattare tali argomenti. Sempre in questo periodo, sono stato tra coloro che hanno contribuito a fare evolvere le mentalità in un senso più positivo. Avevo avuto la fortuna di partecipare al gruppo ristretto di ufficiali e di civili del Centro di Prospettive e di Valutazioni (CPE) che, dal 1966 al 1972, aveva elaborato la dottrina francese di sicurezza; inoltre sono stato uno dei redattori del primo "libro bianco" francese sulla difesa. Abbiamo, inoltre, constatato che il pubblico non recepiva, non capiva il messaggio. Abbiamo fatto, quindi, un enorme sforzo per spiegarne i motivi, che ha dato i suoi frutti.
Da una ventina di anni le università francesi hanno organizzato molti corsi dedicati alle questioni di difesa e di sicurezza. Sono stati creati molti centri di ricerca specializzata, ma purtroppo constato che nessuno di questi ha ancora scelto di interessarsi al settore dell'intelligence.
Tuttavia, al contempo, osservo che, dopo la fine della Guerra Fredda, nel mio Paese c'è un manifesto ritorno d'interesse per l'intelligence da parte delle Autorità governative, dell'Amministrazione e dell'opinione pubblica.
La Francia, nel 1994, ha pubblicato un nuovo "libro bianco" sulla difesa ed in questo documento l'intelligence appare finalmente come un elemento assolutamente essenziale per la prevenzione ed il controllo delle crisi internazionali.
Parallelamente, c'è stata anche la presa di coscienza nel settore economico. E' stata istituita una commissione incaricata di amministrare la "pianificazione", presieduta da Henri Martre, ex delegato per l'armamento ed ex Presidente della società "Aerospaziale", per studiare ciò che ora si chiama "intelligence economica".
Inoltre, le minacce legate all'espansione del terrorismo e della criminalità internazionale - di cui parlavo prima - dimostrano che sono sempre di più le persone che capiscono la necessità di rafforzare la cooperazione tra i diversi Servizi informativi nazionali in Francia - la Polizia, la Dogana, gli Affari Esteri e la Difesa - per tutto ciò che riguarda la sicurezza interna ed esterna del Paese; capiscono anche la necessità di estendere la cooperazione al di là delle frontiere. Infine, ultimo elemento di attualità, è lo straordinario sviluppo delle scienze e delle tecnologie dell'informazione. Le reti internazionali sono sempre più estese e sempre più potenti. Esse offrono moltissime nuove opportunità, le cui conseguenze non ci sono ancora tutte note.
Tuttavia, in Francia, come forse in Italia, esiste una certa quantità di documentazione sull'intelligence. Alcuni storici hanno fatto ottimi lavori. Tra costoro, citerò il Professore Alain Dewerpe che ha pubblicato un libro interessantissimo dal titolo "Espion, une anthropologie du secret d'etat contemporain" (Spia, un'antropologia del segreto di stato contemporaneo). Ci sono anche alcuni giornalisti investigativi - e non tutti sono amanti degli scandali - che, con le loro numerose ricerche, si sono comportati quasi come storici. E' evidente, tuttavia, che questi lavori debbono essere esaminati da veri e propri universitari per garantirne la qualità e per aprire nuove prospettive ai ricercatori.
Quali sono le difficoltà del progetto? Nella seconda parte della mia esposizione parlerò delle numerose difficoltà. Vorrei ricordarVi, in primo luogo, che la finalità dell'intelligence è di apportare alle persone che devono decidere "informazioni utili" per l'esercizio delle loro responsabilità. A questo punto, faccio il legame tra informazione ed azione poiché la principale caratteristica dell'intelligence è - a mio parere - di essere inscindibile da ogni procedimento a carattere strategico. L'intelligence è, per natura, legata a tutte le forme dell'azione politica, diplomatica, militare, economica, scientifica o sociale. Quindi, è una disciplina che interessa tutti i settori. Ed è per questa ragione che ho scelto come titolo del mio seminario "La cultura francese dell'intelligence". Mi auspico di trattare il problema con un approccio comparativo e trasversale e di poter trarre beneficio dai lavori realizzati all'estero. Per tener conto delle difficoltà inerenti a questo progetto, bisogna prevedere un periodo iniziale di sensibilizzazione degli ambienti universitari e della ricerca, in modo da stimolare l'interesse di un sempre maggior numero di studenti, di ricercatori, di professori. Esiste, da questo punto di vista, un interessante parallelo con l'evoluzione delle nuove applicazioni della "civilizzazione dell'informazione".
Ho già evocato i diversi settori interessati: storici, politologi, sociologi, strateghi, militari. Farò anche notare che se l'argomento riguarda in primo luogo le "scienze umane" - come si dice in Francia - e le scienze sociali, credo che anche le scienze "esatte" siano parte integrante, ad esempio, degli sviluppi delle tecnologie dell'informazione. Proprio per queste ragioni, ritengo che la parola "cultura" sia la più coerente alla complessità del tema.
Ho parlato delle difficoltà del progetto. Esse hanno tante cause. Queste cause sono, da una parte, di ordine generale e, dall'altra, sono specifiche del mio Paese. Le ragioni di ordine generale, che spiegano e permettono di capire le reticenze degli ambienti universitari verso lo studio dell'intelligence, possono essere riepilogate sotto la forma di tre paradossi.
In primo luogo, la natura clandestina dell'argomento. Questo spiega l'assenza di archivi o la messa sotto sequestro degli archivi. Questo è un primo ostacolo per gli scienziati, i ricercatori e gli storici. Questo punto, evidentemente molto importante, ha rappresentato, fino ad oggi, una delle principali difficoltà per gli universitari.
In secondo luogo, quello che Alain Dewerpe chiama "l'investimento immaginario nell'occulto". Vale a dire, che l'intelligence è generalmente associata alla bugia, alla dissimulazione e ad un'insieme di comportamenti socialmente e psicologicamente sospetti.
In terzo luogo, "la trappola delle teorie cospiratorie del politico". Questa enunciazione dimostra che effettivamente ogni tentativo di spiegazione della scienza politica a partire dall'intelligence si scontra con una difficoltà fondamentale e cioè la nozione di cospirazione.
Cito a riguardo alcune espressioni particolarmente significative scritte da Alain Dewerpe nel suo libro di cui vi ho già parlato: "il grande gioco", "il male necessario", "le guerre dell'ombra", "le discipline clandestine", "i drammi ed il piacere del ruolo". Queste definizioni, molto ricche, dimostrano quali siano effettivamente le ambiguità e la complessità dell'argomento.
Al di là di queste ragioni generali, comuni a tutti i Paesi, ci sono delle spiegazioni più direttamente legate al fenomeno francese ed alla storia della Francia. Quando ho deciso di portare avanti questo seminario, sono venuto a conoscenza di uno studio fatto da uno storico americano, il professore Douglas Porch, specialista della storia del mio Paese. Egli ha anche pubblicato nell'ottobre 1995 un libro sulla "Storia dei Servizi Segreti francesi dal caso Dreyfus fino alla guerra del Golfo". Alcuni mesi prima, egli aveva pubblicato sulla rivista britannica "Intelligence and national security", alla quale collaboro, un articolo che trattava proprio della "cultura francese dell'intelligence".
Naturalmente, mi sono precipitato a leggere questo articolo per conoscere le sue conclusioni. Non tutte sono favorevoli al mio Paese. Comunque, ve le espongo perché ci sono delle spiegazioni che trovo molto interessanti. Douglas Porch mette in evidenza cinque tratti caratteristici della cultura francese dell'intelligence.
Il primo è - dice - che le ambizioni nazionali dei francesi, troppo spesso, non sono coincise con le capacità reali del Paese. Essendo uno specialista della guerra 1914-1918 ed un ottimo conoscitore dell'esercito francese, egli, partendo dagli esempi del Maresciallo Joffre nel 1914, al momento dell'offensiva tedesca attraverso il Belgio, del Generale Gamelin nel 1940 e dei Generali francesi a Dien-Bien-Phu, ha dimostrato che, benché fossero in possesso di informazioni, essi hanno dovuto affrontare sfide praticamente impossibili. Quindi, di proposito, non avevano tenuto conto delle informazioni che, in tali circostanze, avrebbero potuto farli rinunciare alla loro strategia avventurosa. Questa è una tesi contestabile che, tuttavia, merita - a mio parere - di essere presa in considerazione dai ricercatori francesi. Ritengo che questa tesi sia una sfida per loro, una "challenge" che merita di essere raccolta per trovare argomenti contrapponibili a quelli del Professore americano che ha svolto un ottimo lavoro scientifico. Occorre realizzare lavori della stessa qualità.
In secondo luogo, Douglas Porch ritiene che in Francia le turbolenze politiche hanno sempre contribuito a rendere i Governi francesi molto diffidenti nei confronti del Servizi informativi. Purtroppo, credo che abbia ragione. Questo risale al caso Dreyfus, che è forse l'esempio più significativo di questa diffidenza e continua ad esserlo per la società francese di oggi. D'altronde, nella storia francese contemporanea, ci sono tanti episodi analoghi, che hanno alimentato il sospetto della classe politica e dell'alta amministrazione nei confronti di tutto ciò che riguarda, da vicino o da lontano, i Servizi Speciali.
Terza caratteristica: secondo Porch la tradizione vuole che siano i militari a gestire i Servizi informativi francesi esterni. Questo in parte è il motivo dell'incomprensione del potere civile verso i Servizi. Credo che, anche su questo punto, Douglas Porch abbia ragione. Non è un'accusa nei confronti dei militari, è piuttosto un rammarico per il fatto che pochi civili abbiano effettivamente avuto incarichi nei Servizi speciali francesi.
Quarta caratteristica: la ricerca, l'analisi e lo studio dell'informazione richiedono un lavoro da benedettino, e questo in Francia sarebbe stato sottovalutato a beneficio della "cultura azione" degli operativi. Vale a dire che le operazioni clandestine sarebbero state privilegiate. Non sono del tutto d'accordo con questa tesi. Credo che sia una lettura troppo parziale della storia, anche se alcune sue spiegazioni meritano di essere prese in considerazione.
Quinta ed ultima caratteristica: interessandosi soprattutto all'intelligence interna e poco a quella esterna, i dirigenti francesi non hanno resistito alla tentazione della politicizzazione provocando così la moltiplicazione di "casi", di "coups tordus" - come si dice in francese - (di mosse sbagliate) o di intercettazioni telefoniche. Douglas Porch insiste - a mio parere - troppo su questo punto, poiché addirittura asserisce che i Servizi come la DST o la RG sono in Francia vere e proprie "polizie politiche".
Coloro che conoscono il mio Paese ed, in particolare, i professionisti che sono qui presenti sanno che quest'affermazione è eccessiva.
Dopo aver parlato di alcune delle difficoltà del progetto, vi racconterò come ho cercato di risolverle, esponendoVi lo schema generale del seminario pluridisciplinare. Visto che sono coinvolte numerose discipline universitarie, ho subito capito che sarebbe stato molto difficile mettere in atto quello che avevo in programma, ossia aprire nuove cattedre nelle università francesi, in particolare a Marne la Vallée. Avevo trovato una cattedra libera di Storia ed il Presidente dell'università era d'accordo per trasformarla in una cattedra di "Storia dell'intelligence". Quando, però, mi sono rivolto ad un giovane professore, che avevo scelto per dirigerla, egli mi ha risposto: "Lei non si rende conto! Non sono un candidato al suicidio! Se io, giovane professore, volessi aprire una cattedra che non fa parte dei tradizionali programmi dell'università francese la mia carriera sarebbe finita". Poiché ho un genero storico, ho subito capito che aveva ragione! Obbligandomi a cambiare orientamento ed a scegliere la via di un seminario di ricerca (forse questo tipo di seminario esiste nelle Vostre università), egli mi ha reso un grande servizio. Nelle università francesi alcuni storici hanno preso l'abitudine di affrontare temi trasversali che non appartengono forzatamente alle categorie tradizionali. Essi possono fare lavorare assieme studenti provenienti da diverse università, da differenti facoltà, per facilitare i lavori di ricerca. Quindi ho adottato questa formula, appoggiandomi su un "Diploma di specializzazione post-lauream", un "D.E.A." del terzo ciclo di Scienze Politiche all'Università di Marne La Vallée. Esso mi fa da tutore e da garante in quanto non sono un universitario.
Proponendo studi comparativi e pluridisciplinari e ricordando la parola "cultura" ho potuto mettere come fattore comune i differenti elementi di cui Vi ho parlato. Spero che con questo approccio riusciremo a determinare scientificamente i principali fattori dominanti che costituiscono le caratteristiche specifiche della nostra cultura nazionale d'intelligence.
Per giustificare la struttura generale del mio progetto, mi sono ispirato ad una classifica, proposta in un articolo scritto sulla rivista "Intelligence and national security" dal Professore britannico Martin Alexander, che ho incontrato varie volte. Riflettendo sui problemi generali dell'intelligence, egli aveva enumerato una decina di distinte linee d'interesse. Ho scelto, da parte mia, un approccio leggermente diverso per adattarlo ai problemi francesi. Quindi, ho proposto, nell'illustrazione del seminario undici possibili "campi d'azione e di studio".
Il primo campo d'azione è quello della documentazione. Si tratta, infatti, di rispondere alle sfide poste dagli storici che non hanno o che hanno poche fonti. Bisogna trovare nuovi archivi, provocare le testimonianze, incitare l'uscita di archivi personali e bisogna anche agire presso i poteri pubblici affinché l'embargo, la "legge del silenzio", i tabù che, in molti ambienti, si oppongono all'apertura degli archivi, siano progressivamente rimossi.
In Francia l'apertura degli archivi informativi è autorizzata solo sessant'anni dopo gli eventi, mentre in Gran Bretagna e negli Stati Uniti dopo trent'anni. Siamo, quindi, molto in ritardo da questo punto di vista. E' indispensabile aprire il campo delle ricerche. Da qualche tempo, sono un po' più ottimista poiché abbiamo avuto l'autorizzazione di far lavorare negli archivi militari alcuni allievi ufficiali, alcuni lavori dei quali sono stati pubblicati quest'anno.
E' estremamente urgente fare un importante lavoro di documentazione, perlomeno per segnalare quello che esiste negli archivi dei Paesi stranieri dove sono racchiusi tesori che i ricercatori francesi conoscono in parte.
Il secondo campo d'azione è, a mio parere, il più importante. Si tratta di stabilire quali siano state le condizioni di elaborazione delle decisioni. Questo riguarda la scienza politica, la strategia, l'arte di dirigere. Credo che sia un elemento centrale del dibattito. L'informazione ha forse avuto o meno un suo ruolo per prendere tale o talaltra decisione? E' stata alterata, sottovalutata o deliberatamente trascurata? In quale condizione questo è avvenuto? Qual è stata la sua influenza sulla politica estera, sulla gestione delle crisi, sulle guerre, sull'economia?
Questi sono interrogativi fondamentali. Come dice il professore Christopher Andrew dell'Università di Cambridge - che forse conoscete perché è stato il primo a svelare la storia dei Servizi Segreti britannici - si tratta di mettere in evidenza ciò che egli chiama la "dimensione mancante" nella spiegazione della Storia. Occorre moltiplicare gli "studi di casi" affinché il giudizio degli storici possa appoggiarsi su dati precisi e sull'analisi di un numero sempre maggiore di temi. Questa è la ragione per cui suggerisco di riprendere i numerosi lavori storici sulla Prima Guerra mondiale o sulla Seconda esistenti nel mio Paese. Bisogna cercare di sapere come l'informazione è circolata, qual è stato il ruolo dell'intelligence e se ne ha avuto uno in merito alle decisioni. Penso che vi sia una possibile rilettura di molti fatti storici. Gli storici dovrebbero essere interessati da tali prospettive, soprattutto per quanto riguarda la storia militare. D'altronde, dal 1995 una nuova Commissione è stata istituita per occuparsi della storia dell'intelligence. E' solo un inizio, ma auspico che questo avrà un seguito.
Il terzo campo d'azione interessa soprattutto gli specialisti della scienza politica: è "un accostamento metodico" all'intelligence. Cosa pensano in merito i responsabili ed i politici francesi che devono decidere? Ci sono molti studi comparativi da fare tra quello che è successo in Francia e all'estero. Ho fatto un esempio all'apertura del seminario: abbiamo vissuto assieme ai britannici la crisi di Suez. Auspicherei che si esaminasse a fondo il modo con il quale i responsabili britannici ed i francesi, che dovevano decidere, siano stati informati. Nel 1956, come forse sapete, la Francia aveva dei legami molto particolari con Israele; i britannici, che erano nel nostro stesso Stato Maggiore, non erano sempre al corrente dei nostri contatti. Ci sarebbe, quindi, un'appassionante rilettura da fare che fino ad oggi - credo - non è stata ancora fatta. Quest'accostamento metodologico racchiude tantissimi argomenti e sono sicuro, anche se non sono abbastanza competente per svilupparli, che sono una miniera di spunti preziosissimi.
Quarto campo di studio, quarto punto d'interesse, lo studio dei Servizi Segreti ed il loro funzionamento. Credo di conoscere abbastanza bene le reticenze e le proteste dei professionisti. Per avere esercitato questo mestiere, so che la nostra "cultura del segreto" a volte è esagerata. Invito, quindi, i miei ex colleghi a dare uno sguardo su quello che succede in altri Paesi, includendo anche la Russia, poiché i russi hanno divulgato tante cose molto interessanti sul funzionamento del KGB. Non bisogna più "nascondersi dietro al proprio dito", come si dice in francese. Bisogna saper mostrare quali siano le funzioni, le strutture, gli obblighi ed i limiti, i metodi, i mezzi tecnici o umani; tutto questo è stato descritto dettagliatamente nella letteratura anglosassone, ma in Francia questo è oggetto di errate interpretazioni, quindi bisogna rimettere le cose al loro posto.
Siamo l'unico Paese a considerare che tutti questi argomenti hanno un carattere segreto. La mania del segreto non è particolarmente una caratteristica del mio Paese. Spesso ho detto ai miei studenti che l'80% degli articoli del quotidiano Le Monde, se fossero scritti da militari nei loro Stati Maggiori, sarebbero classificati segreti unicamente perché si tratta di temi importanti! E' giunto il momento di liberarsi gli uni e gli altri di alcune scorie della "cultura del segreto" per avere una maggior coscienza su ciò che è veramente riservato e su ciò che non lo è.
Un quinto campo di ricerca è quello dell'economia e della tecnologia. Questo è il gigantesco settore "dell'intelligence economica", di cui vi parlavo prima, e sono molto contento del fatto che in Francia finalmente lo si sta affrontando. Direi anche che da alcuni mesi è diventato un tema di moda, ed è quasi - come si dice in francese - "una crostata alla crema", nel senso che molte persone ignoranti del settore si sono appropriate delle parole "intelligence economica" per moltiplicare le riunioni, i dibattiti, i seminari. Spesso vi partecipo per cercare di esporre idee chiare e soprattutto per evitare la confusione tra "intelligence economica" e "spionaggio economico". L'intelligence economica si interessa più al modo con il quale l'informazione circola nell'economia e nelle industrie che alla ricerca e alla protezione delle informazioni riservate. Nell'attuale sistema della competizione internazionale, lo spionaggio economico assume a volte un'importanza comparabile a quella dello spionaggio militare, ed alcuni autori non esitano a dire che siamo in "guerra economica". Da parte mia, metto piuttosto l'accento sui pericoli della criminalità economica. Ritengo che vi sia un ampio campo d'azione per l'informazione, soprattutto per quanto concerne il "denaro sporco", vale a dire il denaro del crimine, della droga, delle mafie, soldi che provocano - e lo sapete bene - devastazioni nell'economia mondiale.
Sesto campo d'interesse, l'informazione in quanto tale, ossia tutte le scienze dell'informazione. Non parlo soltanto delle informazioni fornite ai poteri pubblici dai Servizi Speciali, ma dell'insieme delle questioni relative all'elaborazione dell'informazione: la ricerca, l'elaborazione, la manipolazione, la disinformazione, le reti, la sicurezza delle reti, i delicati problemi della criptologia. In merito a quest'ultima, forse sapete che questi problemi stanno per "esplodere". Fino ad ora, gli Stati erano riusciti a mantenere una certa padronanza dei sistemi di criptologia ed un certo monopolio nella capacità di decifrare le comunicazioni dei Servizi di spionaggio stranieri, dei criminali e di altri illegali che utilizzano le telecomunicazioni. Da alcuni mesi, negli Stati Uniti dove il fenomeno Internet si è sviluppato è successo un episodio molto grave: un cittadino americano, che si chiama Zimmermann, ritiene che sia scandaloso che lo Stato americano, lo Stato federale, possa ascoltare i cittadini e quindi ha inventato - in quanto è un genio matematico ed informatico - un sistema che, per quanto mi risulta, è inviolabile; questo sistema è a disposizione del pubblico sulla rete Internet, e si chiama "PGP" (Pretty Good Privacy), che eufemismo!
E' una sfida lanciata a tutti i Servizi di Sicurezza, a tutti i Servizi d'intelligence del mondo. E' uno dei problemi che dovremmo affrontare nelle ricerche universitarie di cui parlavo prima.
Nel settore dell'informazione, inoltre, esiste anche quello che chiamo "informazione aperta". Ho l'abitudine di dire che quando si parla d'intelligence si pensa solo ai Servizi "Segreti", si pensa in primo luogo alle azioni illegali, mentre la vera intelligence, "l'informazione utile" proviene forse per il 95% dall'informazione aperta; vale a dire che non c'è bisogno di condurre azioni clandestine o illegali per essere in possesso di quello che occorre per decidere un'azione politica o strategica.
Io stesso, che non appartengo più ai Servizi d'intelligence, leggendo i giornali riesco a sapere cose importanti, come ad esempio l'attuale organizzazione dei Servizi Segreti in Francia: la maggior parte degli avvenimenti viene pubblicata. Questo, d'altronde, è un ulteriore motivo in favore del seminario di cui Vi sto parlando. Inoltre, menzionerò tutto quello che riguarda la mia attività a Marne La Vallée e come disporre, oggi, di strumenti e di mezzi adeguati alle innumerevoli informazioni che esistono nel mondo. Una parte molto importante del sapere è già disponibile nelle banche dati. Si può accedere facilmente tramite computer e tramite alcune reti come Internet o altre. Ma quando ci troviamo davanti a una tale quantità d'informazioni, occorre avere metodi, strumenti, software idonei per estrapolare "l'informazione utile". A Marne la Vallée sviluppiamo un certo numero di strumenti specifici per giungere a quella che definisco "l'informazione elaborata".
Non siamo gli unici. Esistono molti studi e realizzazioni negli Stati Uniti ed in altri Paesi europei, ma è un argomento talmente importante che, come vedete, fa parte del settore di ricerca di cui sto parlando.
Il settimo punto di ricerca riguarda la criminalità e l'ordine pubblico. Non è certo davanti a questo pubblico che devo insistere sulla tradizione della cultura di intelligence che esiste negli ambienti preposti a garantire l'ordine. Abbiamo molto da imparare - penso soprattutto ai Servizi informativi esterni - dal professionismo dei Servizi di sicurezza interni. Come ho detto prima, all'interno degli Stati di diritto, esistono tradizioni molto vecchie nelle relazioni tra informazione, Polizie e Giustizia; l'informazione destinata alla Giustizia deve rispettare rigorosamente le esigenze di autenticità e di veridicità in modo da fornire ai magistrati elementi incontestabili per giudicare. Non è sempre così per i Servizi rivolti verso l'estero che non sono tenuti allo stesso rigore nella ricerca dell'informazione. Sarebbe il caso che frequentassero gli specialisti della criminalità; molte lezioni e molti elementi di paragone possono risultare da questi contatti. Nello stesso modo, il settore della criminalità ha rappresentato un campo d'azione molto utile per i sociologi, gli psicologi, i criminologi. Questo settimo campo di ricerca giustifica numerosi lavori, e sono convinto che le Università italiane già se ne stanno occupando.
Ottavo campo d'interesse: le questioni di etica e di deontologia. Ritengo che sia fondamentale approfondire i problemi come quelli della giustificazione dei Servizi, della legittimità dei fini e dei mezzi, dei limiti da rispettare e degli eccessi da non commettere. Occorre studiare i comportamenti dei gruppi e quelli individuali. Faccio, quindi, appello ai filosofi, ai giuristi, ai moralisti affinché riflettano sulle situazioni eccezionali dell'intelligence, sulle regole indispensabili, sulle specificità francesi legate alle nostre tradizioni ed alla nostra storia.
Di recente sono stato invitato a tenere una conferenza su questo tema all'Accademia delle Scienze Morali dell'Academie Française. Invierò al Vostro Direttore il testo, che merita molte riflessioni.
Nono punto d'interesse, le libertà civili. Basta leggere la pubblicazione dello storico americano, di cui vi ho parlato prima, per convincersi sulla necessità di verificare che i Servizi non commettano azioni che mettono in gioco le libertà civili. Quando si parla, ad esempio, del problema delle intercettazioni telefoniche o quando si riflette sui diritti dell'individuo rispetto ai doveri ed ai diritti della collettività, esiste qui - ed i giuristi lo sanno - una quantità enorme di argomenti di studio. In Francia, esiste una "Commissione Informatica e Libertà" che ha lavorato moltissimo in merito a queste questioni. Bisogna consultarla per fare il collegamento con la cultura francese dell'intelligence. Ho parlato di Internet; sapete che su Internet c'è una tendenza anarcoide. Alcuni dei suoi fondatori difendono a spada tratta i diritti dell'individuo; non esitano ad additare lo Stato americano evocando il Terzo Emendamento della Costituzione americana a rischio di minare le basi stesse della sicurezza dello Stato.
E' diventato un vero e proprio problema internazionale, di primordiale importanza ed il caso Zimmermann, di cui ho parlato prima, è probabilmente uno degli aspetti più significativi.
Devo ancora parlare di due argomenti, due punti d'interesse.
Il decimo, ossia quello del giornalismo, delle relazioni tra giornalismo ed informazione. I giornalisti sono, per un certo verso, uomini che fanno parte del settore dell'informazione e hanno anche loro le proprie fonti. Devono, prima di pubblicare, verificarle e proteggerle. Essi sono costretti a seguire un certo numero di regole professionali, spesso parallele a quelle degli ufficiali dell'intelligence. Alcuni giornalisti - come ho già detto - hanno fatto un vero e proprio lavoro di storici; altri, invece, hanno sistematicamente privilegiato gli aneddoti. Nel giornalismo esiste il bene ed il male. La "teoria del complotto" riappare quando si parla di intelligence; a meno che non sia, invece, un'espressione di disprezzo quando si afferma che l'intelligence "non serve a niente" oppure che "queste persone si sono sempre sbagliate". Questi legami tra giornalismo ed intelligence sono, a mio parere, un argomento importantissimo di studio per l'Università.
Infine, undicesimo ed ultimo campo di studio è quello della cultura. Ad esempio è lo studio del ruolo e del posto della letteratura, del film, della televisione nell'informazione. In che modo i nostri compatrioti ed il pubblico recepiscono tutti questi concetti attraverso i filtri culturali o storici delle loro nazionalità? Ci sono molte pubblicazioni all'estero su quest'argomento, mentre in Francia sono poche; alcuni studenti mi hanno inviato le loro tesi, ma bisogna ancora approfondire e proseguire lo studio di questo argomento, che è una delle chiavi per comprendere le reazioni del pubblico e dei Governi nei confronti dell'intelligence.
Sto arrivando alla conclusione di quest'esposizione, che spero non sia stata troppo lunga, per dirvi che questo progetto ha preso il via. Ho aperto la prima seduta del seminario il 19 ottobre 1995 e fino ad ora sono riuscito a rispettare il calendario. Spero quindi di potere realizzare l'intero ciclo come previsto. Ho invitato degli storici, un ex Direttore della DST, un ex ufficiale americano della CIA, due militari, un giurista ed un diplomatico per realizzare quest'apertura pluridisciplinare di cui vi ho parlato.
Una ventina di studenti in dottorato di ricerca e diversi uditori provenienti da vari settori partecipano a questo seminario. La dodicesima ed ultima seduta avrà luogo alla fine del mese di maggio e ho l'intenzione, se possibile, di pubblicare un primo documento dell'anno 95/96, e di continuare nel 96/97 e nel 97/98. Infine, se mi sarà possibile, concluderò il seminario con una Conferenza internazionale nel 1998.
Tuttavia, la mia iniziativa è ancora isolata. Non faccio parte dell'ambiente universitario, quindi auspico di tutto cuore, ed è importante, che professori di Parigi o della provincia e ricercatori di differenti branche seguano il mio esempio. Ho già notato dell'interesse in alcuni storici, giuristi e politologi. Fino ad ora ho solo riscontrato simpatie e praticamente nessuna ostilità aperta, anche da parte di giornalisti che sono specializzati nell'ironia! Uno di questi, un giornalista de "Le Monde", dopo avermi promesso lo scorso ottobre di pubblicare un articolo per far conoscere il mio progetto all'opinione pubblica, mi ha fatto sapere che il Consiglio dei Giornalisti del quotidiano aveva giudicato inopportuno il mio testo. Alcuni mesi dopo, circa quindici giorni fa, ha scritto un articolo che indirettamente ha fatto pubblicità al seminario. Per non derogare alla specialità del giornale, ha scelto un titolo ironico e aggressivo "Du rififi chez les espions" (Del rififi tra gli spioni). E questo in risposta ad un articolo che avevo pubblicato nella rivista "Défense, Armée, Nation", di cui sono Presidente del Comitato Nazionale, nel quale criticavo il comportamento di uno dei miei successori che, meno di due anni dopo aver lasciato la Direzione della DGSE, ha pubblicato un libro nel quale ha fatto numerose rivelazioni. Mi sono scandalizzato nel constatare che questa prassi, che purtroppo era già stata quella di due miei predecessori, fosse stata ripresa da un alto funzionario dello Stato, ancora in carica, approfittando del suo ruolo per attaccare in modo eccessivo i militari. Questa mio scritto, caduto sotto gli occhi del giornalista de "Le Monde" ha giustificato l'articolo aggressivo nel quale si diceva che "gli ex Capi della DGSE lottano tra loro". Non è assolutamente vero; ho scritto quello che avevo da dire senza alcun tono polemico. Meglio così, ho avuto in prima pagina de "Le Monde" una pubblicità per il mio seminario e ne sono molto felice.
Invece, ho ancora alcune difficoltà da risolvere sul piano pratico, amministrativo e del bilancio. Coloro che conoscono l'Amministrazione sanno che le novità e le iniziative sono difficili da attuare! Alla mia tenera età ho imparato la pazienza e so benissimo che, creando questo seminario, ho solo sparso alcuni semi. Soltanto il futuro dirà quando e come daranno i frutti.
Integro quest'azione tenendo un certo numero di conferenze.
Sinceramente credo che intervenendo sui giovani, sugli studenti, potremmo modificare più facilmente e più profondamente i comportamenti e le mentalità per permettere all'intelligence di trovare, poco a poco, il posto che merita nella società di domani. Sono gli stessi giovani che devono trovare soluzioni moderne ai problemi della nostra epoca e sono persuaso che saranno in grado di farlo.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e sono pronto a rispondere a tutte le domande che mi vorrete porre poiché ho affrontato rapidamente una quantità di argomenti, tralasciando forse alcuni punti di Vostro interesse.


(*) Relazione tenuta dall'ammiraglio Pierre Lacoste, già direttore della DGSE in Francia, per il ciclo di Conferenze organizzato dalla Scuola di Addestramento del SISDe nell'anno accademico 1995/96 (Roma, 26 marzo 1996).

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